







La cucina pugliese è una cucina povera. Come nel resto d’Italia dove prima del boom economico non c’era poi molto da mangiare, ma anche di più perché in Puglia rispetto ad altre regioni non sono arrivate le influenze francesi, le corti nobiliari borboniche e ricchezze aristocratiche di portata internazionale che hanno invece rivoluzionato – secoli fa – la storia della cucina piemontese, napoletana o siciliana. Ma è una cucina ricca di prodotto e di sapori.
È una terra dove Greci, Bizantini, Arabi, Svevi, Aragonesi e Spagnoli hanno influenzato l’architettura, la lingua e anche in parte le abitudini in cucina con tielle di riso, patate e cozze che molto ricordano la paella e parmigiane di melanzane che non sono altro che moussaka greca in versione italica. Ma nonostante tutto la cucina pugliese resta una cucina povera, ricca di ingredienti genuini frutto del lavoro nei campi, della pastorizia, della pesca – e cucinati con ricette semplici.
IL BOOM ECONOMICO E DI MASTERCHEF Il benessere del Dopoguerra ha portato più proteine e porzioni più abbondanti. L’arrivo del turismo contemporaneo negli ultimi vent’anni ha portato un po’ di innovazione, nuovi format e prodotti di tendenza, quanto primi tentativi di fine dining. La storia dell’alta cucina va di pari passo a quella dei flussi turistici, dell’economia locale e ai gusti della gente e in Puglia in dieci anni si è accelerato ogni processo, anche nelle cucine. Sarà anche una correlazione temporale e non causale, ma qui l’arrivo dei turisti e l’avvento di Masterchef alla tv sono proprio capitati insieme e il prodotto è stato «fare cucina fra tradizione e innovazione».
TARALLI DESTRUTTURATI Basta taralli, facciamone un crumble croccante! Le frise, destrutturiamole, condiamo le orecchiette con gamberi viola di Gallipoli e voilà! La cucina pugliese si è teletrasportata in avanti di intere ere gastronomiche, da ciceri e tria fino a quello che va di moda (in teoria) nelle grandi città. Peccato che le mode passano rapidamente ai macaron alla burrata e alle micro porzioni oramai si preferisca altro.
«Ma anche tu hai avuto difficoltà a trovare dei posti di cucina tipica ma fatta bene?» Mi chiede laconica Annalisa, collega che scrive di cucina per testate nazionali. L’influencer Lorenzo Biagiarelli nel mentre posta su Instagram (e lo insultano) che lui in Valle d’Itria non ha mangiato bene (che non vuol dire manco male), e mi viene quindi il dubbio che la mia prima impressione “da milanese” non fosse stata poi così sbagliata. Thomas, neozelandese trapiantato in Italia e foodie per lavoro, sintetizza un auspicio: il positivo di arrivare un po’ dopo è poter imparare dagli errori altrui e non dover ripetere la storia in forma di farsa.
Le istituzioni:Sabatelli e Antichi Sapori
Le istituzioni della nuova cucina pugliese non sono più giovanissime (senza offesa) e ben descrivono l’evoluzione della cucina italiana tutta e un po’ la storia del Paese. C’è la grande trattoria di tradizione, gli Antichi Sapori dello chef Pietro Zito che fa una cucina contadina nella campagna a Montegrosso, rifinita fino a diventare perfetta nella sua semplicità. C’è Angelo Sabatelli che dopo Roma, Jakarta, Hong Kong, Shangai, Mauritius, torna in Puglia e a cinquant’anni suonati cucina nel ristorante stellato che porta il suo nome a Putignano. Propone “una cucina energica, creativa e fuori dagli schemi, che sembra quasi una provocazione in un territorio spesso conservatore” per citare la guida de Le Soste. Di pugliese all’apparenza c’è poco nel menù, le mitiche Orecchiette con ragù + 30, fonduta di canestrato con trenta ore di stracottura (nella foto), a fianco di Gyoza di sponsali, che raccontano soprattutto se stesso. >>
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Le istituzioni: il Paschà
Poi c’è il Pashà di Conversano diventato da bar di famiglia negli anni Novanta a ristorante con stella Michelin grazie ad Antonello Magistà e alla madre Maria Cicorella, da casalinga a cuoca per caso dopo aver sostituito un giorno lo chef del locale (oggi in cucina, Antonello Zaccardi). Nella foto non una parmigiana bensì Avocado peperone e il suo sugo.
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La sfacciataggine della rivoluzione – Bros, Lecce
Cominciamo da loro perché se oggi esiste una cucina di avanguardia pugliese, è anche grazie a loro. La rivoluzione non è un pranzo di gala, ma piuttosto post e video sui social con modelle discinte, chef in posa da star e maschi tatuati. Floriano Pellegrino fa da mente e da cattivo ragazzo, Isabella Potì da testimoniale e da head chef, insieme sono la coppia più cool della ristorazione italiana. La comunicazione di Bros è impressionante, hanno meno di trent’anni e la usano con sapienza, naturalmente, rappresentando se stessi e una generazione. In cucina hanno distrutto la tradizione per ricostruirla, assemblandola in modo differente e lavorando su concetti come la rancidità (dell’olio di casa, fatto male) o l’acidità (della ricotta scanta, fermentata perché un tempo era l’unico metodo di conservazione). A Bros nel centro di Lecce fanno avanguardia pura come se stessero a New York e fra mille polemiche hanno portato il fine dining contemporaneo internazionale nella loro terra. A Scorrano vicino alla casa di famiglia, hanno aperto la trattoria Roots (ne parliamo in fondo alla gallery). Nella foto, Pasta aglio, grasso rancido, peperoncino
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L’ascesa dei giovanissimi – Primo, Lecce
Solaika Marrocco è giovane, giovanissima, e grazie a premi e riconoscimenti ricevuti è diventata l’engant prodige della cucina italiana. Cucina in un ristorante piccolo piccolo e super minimale, come i suoi piatti, in cui porta la sua cucina pugliese in versione gourmet in cui la melanzana alla parmigiana ha la besciamella di grano arso e si nasconde sotto un velo di pomodoro e gli gnocchi di patate si mangiano con il cucchiaio da un fondo di latte di mandorla, caffè e ricci di mare. Un ristorante in punta di piedi, quasi timido in tutto tranne che nei sapori. “Se tutti se ne vanno qui chi resta?” mi dice a fine cena ed effettivamente la Puglia ha visto negli anni una fuga di cervelli nelle cucine del nord e lasciando la terra d’origine scarica di prodigi. Oggi però il suo esempio e quello degli altrettanto giovani proprietari di Primo anche loro under 30 è quello di andare, imparare, tornare e fare, senza la paura di essere profeti in patria. Oggi li capisce qualcuno.
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Il lusso vegetariano di Borgo Egnazia, Savelletri
Non si può non citarli perché la Puglia come destinazione turistica di fama internazionale (e per internazionale si intendono matrimoni indiani con tanto di elefanti, quello di Justin Timberlake, Madonna e Obama a fare le vacanze) se la sono inventata loro. Un borgo sorto dal nulla, a immagine e somiglianza della Puglia che era o che sarebbe bello esistesse, perfetta come un progetto faraonico. Finto, ma non per questo capace di offrire la più autentica ospitalità pugliese ad un livello da cinque stelle lusso e con un’intuizione che ha cambiato le sorti turistiche dell’intera Valle d’Itria. Ovviamente fra le trattorie, le serate in piazza con il forno a legna, il ristorante sul mare e il bar per l’aperitivo, c’è anche il ristorante stellato, I Due Camini, capitanato dallo chef Domingo Schingaro. Servizio ospitale come quello di una mamma ma studiatissimo e super professionale, menù degustazione che si sussegue portata dopo portata da grande ristorante e senza lesinare su pensieri e presentazioni, un racconto filologico degli ingredienti e di usi e costumi pugliesi quasi dimenticati, e poi abbinamenti innovativi. È tutto perfetto come il resto del borgo, ma Domingo ha fatto un passo avanti e portato in tavola un menù degustazione chiamato Radici, vegetariano ma pensato a dire il vero per gli onnivori. Come vuole la tendenza internazionale finalmente si lavora sulla ricerca di ingredienti diversi dal solito piccione e dal risotto e ne escono sorprese che lasciano a bocca aperta che gli smaliziati gourmet di classe che popolano questo posto insieme agli appassionati di alta cucina.
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Crudi di mare e pesce fritto in riva al mare. What else? – Aqua, Porto Cesareo
Una sala da banchetti, una terrazza sul mare, tavoli all’aperto sotto al portico così vicini alla spiaggia che ne senti il profumo. Vieni accolto da carrello del pesce, sontuoso, e vedi locals e turisti che sbocciano bottiglie importanti per annaffiare crudi di mare grandi come il tavolo e cesti di fritto con interi scorfani dentro. Il paradiso per gli amanti del pesce è tornato alle basi, e più che creatività si è messo a servire piatti della tradizione ben fatti e a valorizzare il vero pescato locale. Che non è semplice, perché mentre qui tutti fanno la fila per il tipico panino con il polpo e per un fritto misto (surgelato e proveniente dal Marocco o Sud America), da Aqua sono riusciti a trovare la filiera e a garantirsi il pesce locale. Amato da chef e gourmet, è uno di quegli indirizzi dove non c’è nulla da capire o a spiegare, ma solo da mangiare.
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La cucina del futuro in una piazza del passato – Farmacia dei Sani, Ruffano
Il posto effettivamente potrebbe trarre in inganno e distogliere dalla cucina. La bellissima piazza di Ruffano (nel centro del Salento) che all’imbrunire si accende delle luminarie colorate della festa del santo patrono, i bar con gli anziani che giocano a carte, i bambini che calciano la palla… è tutto perfetto – se non fosse che la cucina è quella che alla fine ti stupisce più del panorama. La Farmacia dei Sani era una trattoria di quelle di una volta, in cui la madre della chef Valentina Rizzo faceva cucina casalinga e ora lei invece la versione pugliese di un bistrot contemporaneo con piatti che mixano sapori del luogo e ricerca, belle porzioni e sapori densi, interessanti, che ti fanno voglia di scoprire il resto del menù. Mangi con un calice di vino della zona o abbinando i cocktail a base dei loro liquori della Farmacia dei Contenti, realizzati nel laboratorio interno e affinati in piccole anfore. Sei a Ruffano, in the middle of nowhere, e mangi la cucina del futuro che a Milano si definirebbe erroneamente “da trattoria moderna”, quasi a derurbricarla a meno di ricerca, e che nei ristoranti che “si danno un tono” hanno paura ad approcciare. Non si capisce perché.
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Rifare la trattoria (quasi) come una volta – Roots, Scorrano
Se a Lecce la coppia Isabella+Floriano mettono in scena l’avangarde, a Roots hanno ricreato la tradizione. Non è fatta come una volta perché è fatta bene, cucinata bene, con ingredienti buoni – come è oramai difficile trovarla, pure in Puglia. Niente decorazioni, zero tradizione&innovazione, niente tocchi da chef, solo la cucina di casa portata in tavola come uno vorrebbe: buonissima. È la controriforma del fine dining e loro essendo un passo avanti sempre lo hanno già capito. Mentre qualcuno sgomita cercando di fare macaron di canestrato e crumble di taralli, loro hanno già chiuso il cerchio e si sono messi a rifare fave e cicoria servite nel coccio. La finta trattoria così diventa la più vera di sempre e ti fa capire che in fondo chi viaggia vuole assaggiare prima di tutto questo. La cucina pugliese povera che è inutile arricchire, ma va valorizzata.
Fonte: vanityfair