Il 1° febbraio del 1970 è sicuramente una data da ricordare per la speleologia mondiale.
Lungo il litorale salentino in località Porto Badisco nel Comune di Otranto, (ad una profondità di 26 metri sotto il livello del mare), cinque membri del Gruppo speologico Salentino s’imbatterono in una scoperta incredibile.
Pasquale de Lorentiis, Isidoro Mattioli, Severino Albertini, Remo Mazzotta, Enzo Evangelisti e Daniele Rizzo, a cui fecero seguito anche Nunzio Pacella e Giuseppe Salamina si trovarono di fronte al complesso pittorico neolitico, il più imponente d’Europa, tanto da essere chiamata anche la Cappella Sistina della preistoria.
La Grotta dei Cervi, denominata in principio “Antro di Enea” perché secondo la leggenda Enea sbarcò proprio lì, a Porto Badisco, deriva dalle successive scoperte dei pittogrammi datati tra il 3.000 e il 4.000 a.C in cui sono raffigurati questi animali in scene di caccia, disegni che si sono conservati nel tempo proprio grazie alla chiusura ermetica della grotta, ed è proprio per questo motivo che non è possibile accedere al suo interno, almeno per il momento.
I permessi per accedere alla Grotta dei Cervi vengono dati solo per motivi di studio o ad alcuni giornalisti per trasmissioni televisive e, il motivo è abbastanza semplice, cioè si potrebbero introdurre microbi o agenti esterni che rovinerebbero opere che sono lì da millenni.
Al suo interno si contano all’incirca 3000 pittogrammi che raffigurano uomini, animali, ma anche piccole impronte di mani, figure geometriche e figure mistiche che potrebbero avere tra i 5.000 e gli 8.000 anni.
La grotta si suddivide in tre corridoi, il primo lungo circa 200 metri, che ad un certo punto crea una biforcazione, in esso si apre una prima sala con i pittogrammi più antichi raffigurati in ocra rossa.
Anche il secondo corridoio è lungo 200 metri ed è ricco di pitture e verso verso la fine si allarga dando accesso a due sale successive. dove ci sono anche stalattiti e stalagmiti, (solo queste sono uno spettacolo);
qui i pittogrammi sono neri e analizzandoli si è scoperto che sono stati fatti con il guano dei pipistrelli.
Verso metà poi, il percorso si interrompe e vi è la presenza di un laghetto naturale.
Il terzo corridoio sempre della stessa lunghezza degli altri due è accessibile dal secondo corridoio attraverso un’apertura molto bassa.
Si arriva ad una parete dove è raffigurato uno sciamano danzante, chiamato “Dio che balla”, diventato un po’ il simbolo del Salento, è facile infatti trovarlo rappresentato su magliette estive che vengono vendute ai turisti o su piatti in ceramica.
La Grotta al suo interno si presenta con spazi stretti e bui e per visitarla non bisogna soffrire di claustrofobia e godere di ottima salute.
E per questo motivo che viene fatta firmare una liberatoria in cui si dichiara la sana e robusta costituzione.
Per spostarsi bisogna strisciare nel fango stando sempre attenti a dove si mettono i piedi, ma chi riesce a superare queste difficoltà, si troverà di fronte ad uno scenario unico ed irripetibile…Insomma una visita non per tutti.
Ad ovviare a queste difficoltà logistiche, per tutti coloro quindi che non hanno la fortuna di entrare nella Grotta dei Cervi, una mostra permanente è stata allestita al Castello Aragonese di Otranto con reperti raccolti e una sala cinematografica che trasmette un documentario in 3D che, riproduce fedelmente l’interno della Grotta dei Cervi.
Beh, per lo meno sarà un po’ come esserci entrati senza soffrire e fidatevi…non è poco.