La pizzica e la taranta

In passato la Pizzica era un rituale utilizzato per curare principalmente le donne che erano state colpite in campagna dal morso della taranta (tarantola).
Un gruppo di persone con tamburelli, una chitarra, un organetto e strumenti di questo genere suonavano ininterrottamente. La musica andava avanti per molto tempo, a volte anche per giorni, finchè la tarantata, con un ballo dalle movenze ossessive e quasi ripetitivo, non esauriva la carica del veleno e si accasciava al suolo stremata e senza forze.

Oggi invece la pizzica è diventato il rituale tipico delle feste tradizionali. Oggigiorno infatti questa antichissima tradizione di “musico-danza-terapia” , è divenuta parte fondamentale della cultura salentina.
Elemento base e anche simbolo della Pizzica è il tamburello leccese di cui vi abbiamo parlato nei precedenti articoli: uno strumento che si suona con un particolare movimento della mano al fine di ottenere un ritmo deciso e costante.

Il fenomeno del tarantismo è oggetto di studio da decenni ad opera di ricercatori, etnologi, ma non solo.

Oggi il tarantismo dilaga tra i giovani e meno giovani, in situazioni conviviali, soprattutto d’estate nei vari paesini del Salento.  Si traduce in un ballo semplice e liberatorio o di corteggiamento, cui è possibile assistere durante le sagre e le feste patronali di tutto il Salento.

Un tempo, nel Salento, era diffuso il lavoro nei campi ed essere morsi dalla taranta non era affatto raro.

La taranta infatti trovava nelle terre coltivate il suo habitat ideale.

Le persone pizzicate iniziavano a star male e l’unico modo per guarirle, era quello di suonare, lasciandole ballare fino allo sfinimento.

In realtà, oltre il morso del ragno, c’era una forte voglia di esprimersi, di liberare un’energia che la comunità opprimeva.

Ecco che oggi, a distanza di molti anni, questo “rituale” è tornato a farsi sentire come a voler celebrare la tradizione e la cultura di una terra dedita all’arte ed alla rappresentazione scenica.

Ovviamente oggi non si balla la pizzica a causa del morso di una taranta ma tuttavia ballare la pizzica rimane un momento liberatorio che rilassa corpo e mente: un modo per esprimersi e divertirsi.

Ma oltre la musica, il ballo, i canti, vi è qualcosa di misteriosamente umano, che dalla notte dei tempi si ripete e diventa perpetuo.

Con il termine “taranta”, si fa riferimento da un ragno tipico del Salento. Il termine fu introdotto intorno al 1500 allorquando comparve nel tarantino il fenomeno del “tarantolismo”, cioè di quella violenta agitazione psicomotoria ritenuta conseguenza del morso della tarantola.

I pizzicati, “tarantolati“, entravano in uno stato di agitazione mentale e motoria per cui ballavano in modo del tutto scomposto al suono di musiche vorticose, che furono poi chiamate “tarantelle”, capaci di apportare beneficio ai “malati” pizzicati dalla taranta.

Molto interessante è sapere che intorno al 1700, un medico, si sottopose volontariamente al morso di una tarantola, ricavandone, solo un arrossamento della parte interessata e dimostrando come il tarantolismo non fosse provocato dal morso del ragno di Taranto.

Lo stesso, nel 1742, fece Serrao, medico del re di Napoli, riconfermando l’esperimento fatto in precedenza.

Non per questo cessò il tarantolismo, che continuò a imperversare nel Meridione, interessando anche la Chiesa che pensò subito alla possessione diabolica.

Dal punto di vista zoologico, la tarantola pugliese fu battezzata “Tarantula apullae” ed è uno dei ragni più grandi e più belli d’Italia, lungo anche più di 4 cm, ha forme massicce, vellutate e una livrea grigio rossiccia con vari disegni neri e con zampe anellate di giallo e molto robuste.

Essa vive sempre nel terreno, immersa nella sua tana che scava da sola, formata da una galleria rettilinea lunga circa venti centimetri e larga due, che svolta bruscamente verso il basso descrivendo un complicato percorso.

Tappezza la tana di seta e, per proteggersi dai suoi visitatori, ne chiude l’apertura con erba secca e fuscelli tenuti insieme da una trama di seta.
Di giorno è quasi sempre nella sua tana, al crepuscolo esce a caccia, morde le prede tra capo e collo per ottenere il più rapido risultato e, una volta morta la vittima, la “succhia” nella sua tana, lasciando i resti fuori dalla porta di casa.

Durante la stagione degli amori, i maschi assediano le femmine e una volta concluse le nozze al solito modo dei ragni, i maschi raccolgono lo sperma in una chela e lo depositano sulla femmina, dopodiché si separano.
La femmina, dopo qualche tempo, deposita le uova fecondate in un bozzolo, le uova si schiudono dando vita a centinaia di ragnetti che si arrampicano sulla madre, portandoseli a spasso o a caccia. Con l’approssimarsi dell’inverno, madre e figli si chiudono in casa e attendono la primavera digiunando.

Come possiamo vedere la scienza non evidenzia comportamenti particolarmente aggressivi ne tanto meno pericolosi per l’uomo.

Insomma, questo animaletto a cui è sempre stata data la colpa di essere la causa del comportamento misterioso e dei gesti ossessivi di alcuni uomini non è affatto pericoloso per l’uomo. Nella peggiore delle ipotesi il suo morso produce arrossamento e lieve dolore. Quindi le origini e la natura del “tarantismo” sono da ricercare altrove.