Prima di mangiare una friseddha cerchiamo di conoscere uno dei simboli culinari del Salento.
Forse non tutti sanno che la sua lunga storia affonda le radici nella mitologia e in quella tradizione popolare legata all’alimentazione, che prevedeva la conservazione per lungo tempo dei prodotti da forno.
Parlando di di leggenda, si narra che la frisa fu portata in Italia da Enea, proprio quando l’eroe cantato da Virgilio sbarcò sulle coste di porto Badisco.
Comunque, secondo notizie storiche documentate, le prime notizie delle friseddhe ci riportano al tempo delle Crociate, allora quando i cavalieri che per andare in Terra Santa salpavano dai porti pugliesi, facevano grande uso di questi prodotti a lunga conservazione e a basso costo, anche perché ideale per le faticose traversate.
Ecco perché la frisa è nota come “pane dei Crociati” anche se in realtà si tratta di un biscotto di grano o di orzo. Era infatti la frisa di orzo che nel dopoguerra compariva soprattutto sulle tavole dei poveri mentre quelle di grano erano esclusiva delle famiglie benestanti.
In quanto piatto povero la frisa è anche semplice da preparare e può essere consumato in ogni stagione, anche se d’estate trova il condimento ideale e più fresco.
Il segreto per avere un piatto piacevole e gustoso da spizzicare sta nel bagnarla sotto l’acqua fredda e soprattutto curare la “sponzatura” che può durare da pochi secondi a un minuto circa ma non di più, a seconda del grado di morbidezza che si vuole raggiungere ma, facendo attenzione a non farla sfaldare troppo.
Dopo averla tirata fuori dall’acqua e quindi averla “spunzata” come si preferisce, la si condisce con pomodorini strofinati sopra o tagliati a pezzettini, olio extravergine di oliva, sale e origano.
Tuttavia, sono ugualmente saporite le varianti a base di peperoni, cacioricotta ma anche alici, tonno e altri prodotti tipici che il nostro territorio ci dona.
Dunque, spazio alla creatività anche in cucina perché la mangiare “friseddha” è… Arte pura!!!